giovedì 24 dicembre 2015

Its: nel 2018 sarà di 40 miliardi il valore del mercato delle auto connesse



Il valore del mercato globale delle auto connesse (o “connected cars”) sarà di circa 40 miliardi di euro nel 2018, con un aumento del 66,7% rispetto al valore di 24 miliardi stimato nel 2015. Anche il mercato dei sistemi Adas (Advanced Driver Assistance System) per l’assistenza alla guida sulle auto presenterà una crescita nei prossimi anni, passando dai circa 4 miliardi di euro nel 2015 ai 7 miliardi di euro stimati nel 2018, con un aumento del 75%. Lo comunica l’Osservatorio Autopromotec, la rassegna espositiva internazionale delle attrezzature e dell’aftermarket automobilistico, analizzando dati forniti da AlixPartners.

I  veicoli connessi, ovvero veicoli dotati di soluzioni di connettività mobile in grado di assistere con efficienza il conducente e soprattutto di fornirgli informazioni sulla sicurezza e sul veicolo in tempo reale, ricevono a bordo del veicolo informazioni su traffico e diagnostica, interagendo con le infrastrutture stradali per la raccolta e lo scambio di dati e con i dispositivi elettronici dei conducenti (ad esempio smartphone o tablet) per avere a disposizione un sistema di infotainment centralizzato (navigazione, chiamate, musica, etc.).

I sistemi ad alto contenuto tecnologico per l’assistenza alla guida delle autovetture (i cosiddetti Adas, Advanced Driver Assistance System), in parte già disponibili sul mercato, sono pensati per integrare una vasta gamma di funzioni di assistenza alla guida: dai sensori di parcheggio automatico a quelli di spostamento controllato della corsia, dai sistemi di controllo della sterzata a quelli predittivi di frenata. Tra i dispositivi Adas rientra anche la cosiddetta “guida autonoma”, ovvero la facoltà dell’auto di guidarsi da sola senza il coinvolgimento del conducente. Tali tecnologie, dunque, diventeranno una componente sempre più diffusa ed essenziale per rendere più sicura la circolazione e tutelare la salute dei passeggeri

Naturalmente, si legge nello studio, le caratteristiche di questo mercato alimenteranno la necessità di maggiori investimenti da parte delle case automobilistiche, oltre al normale lavoro di sviluppo per nuovi veicoli. 

Anche il mondo dell’autoriparazione sarà interessato da questo contesto in rapida evoluzione. I cambiamenti, infatti, comporteranno necessariamente continue sfide di adeguamento anche per il settore dell’aftermarket automobilistico, che dovrà essere in grado di compenetrare una pluralità di competenze e puntare su una specializzazione sempre maggiore, sia nelle attività di officina che nella produzione di attrezzature per l’autoriparazione sempre più tecnologicamente avanzate.

Per seguire lo sviluppo dell’innovazione tecnologica nel settore dell’autoriparazione e dell’aftermarket automobilistico l’appuntamento è alla prossima edizione di Autopromotec che si terrà, sempre nel quartiere fieristico di Bologna, dal 24 al 28 maggio 2017.


martedì 22 dicembre 2015

Guida autonoma e IoT: l'auto diventa un assistente personale



Bosch torna al CES di Las Vegas puntando sull'auto "intelligente": connessa, autonoma e in grado di semplificare la quotidianità, a cominciare dalla ricerca del parcheggio. Dal 6 al 9 gennaio, la multinazionale tedesca presenterà alcuni concept e una showcar sviluppata appositamente per anticipare l'auto del futuro, anche sul fronte della sicurezza.


La showcar fa da assistente personale. La "visione" di Bosch verrà sintetizzata in una vettura a guida autonoma in cui il cruscotto e la console centrale sono stati trasformati in un grande display elettronico, in grado di visualizzare diverse informazioni a seconda del contesto e della situazione. Tra queste non manca l'avviso per l'attraversamento dei pedoni, proiettato dallo schermo come una sequenza di luci molto visibili. Il sistema può inoltre memorizzare le preferenze personali e l'agenda della giornata, avviando automaticamente la navigazione a seconda degli appuntamenti. Completamente immersa nell'Internet delle Cose (meglio nota come IoT, Internet of Things), la showcar garantirà anche la connessione ai sistemi di domotica smart (utile per attivare a distanza il riscaldamento o gli allarmi) e sarà dotata di comandi evoluti, sia gestuali che vocali.

Guida e parcheggio automatici. Ovviamente, sulla concept non mancherà il pilota automatico, inseribile a piacimento: secondo Bosch, nel 2020 la guida autonoma in autostrada sarà molto diffusa e permetterà di ridurre "significativamente" il numero di incidenti. A Las Vegas un altro veicolo, in mostra al Sands Expo, consentirà di approfondire l'evoluzione della tecnologia, già sperimentata da Bosch sulle autostrade tedesche, americane e giapponesi. Assieme alla guida autonoma, l'azienda presenterà anche un sistema di valet parking automatico attivabile tramite un'apposita app: la tecnologia consentirà alla vettura di parcheggiarsi da sola all'interno dei garage, grazie ai sensori di bordo e a quelli collocati sulla pavimentazione.

La lotta al contromano. Un altro sistema che debutterà dal vivo a Las Vegas si ripromette di minimizzare la piaga dei contromano. La soluzione si basa su un modulo software (integrabile in qualsiasi app per smartphone o sistema infotainment) e punta ad avvisare gli automobilisti grazie alla connessione al cloud. Il meccanismo è relativamente semplice: durante la marcia, il sistema confronta la direzione del veicolo con quella consentita in una determinata strada, inviando le informazioni (rese anonime) a un database centrale. In caso di incongruenze, rilevabili in tempo reale, il cervellone centrale invia un allarme sia al conducente che ha imboccato la strada contromano che ai veicoli nelle sue vicinanze, riducendo il rischio di impatto. Avendo una base crowd, l'angelo custode digitale diventa più preciso all'aumentare delle auto connesse al network. Sulla scia del sistema anti contromano c'è anche quello che Bosch chiama "orizzonte connesso": grazie al collegamento con la Rete (e dunque alle altre auto e alle infrastrutture), la tecnologia permetterà all'auto di "vedere" oltre gli incroci e di riconoscere i pericoli sulla strada, anticipando incidenti, cantieri e ingorghi: l'obiettivo, in maniera simile all'eHorizon di Continental, è migliorare sia la sicurezza che i consumi.

Il touch screen con feedback tattile. Infine, a Las Vegas Bosch porterà anche lo schermo Touch & Feel, un display dotato di una tecnologia di feedback tattile che permette di percepire i tasti come se fossero veri. La "magia" sta nelle variazioni della struttura superficiale, con parti ruvide, lisce o sagomate: in questo modo, il touch screen è in grado di restituire una sensazione meccanica, minimizzando le distrazioni durante l'uso delle funzioni di bordo. Il display è già stato premiato con il CES 2016 Innovation Award nella categoria dell'infotainment. D.C.

Articolo originale: http://www.quattroruote.it/news/nuove_tecnologie/2015/12/21/bosch_ces_2016_guida_autonoma_e_iot_l_auto_diventa_un_assistente_personale.html

giovedì 17 dicembre 2015

Nell’auto connessa i comandi vocali rimpiazzeranno il touchscreen


Comprendere le richieste dell’utente e rispondere in modo efficace, interazioni macchinose o complesse di mezzo: questo, secondo Nuance, è l’obiettivo primario di un’intelligenza artificiale degna di un’auto connessa. Durante un’incontro che si è svolto a Milano abbiamo avuto modo di farci raccontare dalla società qualcosa in più sull’ultima versione del suo software di riconoscimento vocale e assistenza alla guida Dragon Drive, che avevamo visto in anteprima a Las Vegas e che i costruttori del settore automobilistico stanno implementando in questi mesi suo loro veicoli.

La piattaforma di Nuance non è direttamente visibile durante la guida; si tratta piuttosto di uno strato sottostante all’interfaccia finale che i singoli costruttori disegnano per i propri sistemi di infotainment. Eppure la società è dietro a molti dei grandi nomi del settore: da Audi, BMW e Daimler, attraversando l’oceano per passare a Chrysler e poi ancora a Toyota.

Nuance calcola che i propri sistemi siano installati su circa 130 milioni di auto.

La novità di maggior rilievo del nuovo Dragon Drive, spiegano da Nuance è la biometria vocale. Dopo una fase di addestramento di pochi secondi, gli algoritmi di Nuance riescono a riconoscere i proprietari del veicolo dal timbro della voce, e a cambiare il profilo attivo sulla piattaforma a seconda di chi si mette alla guida. Non solo la rubrica telefonica, ma anche le app preferite preferite e il collegamento ai relativi account social riflettono
le impostazioni definite dal conducente.

Tra queste c’è la seconda nuova funzione della piattaforma, ovvero Daily Update: si tratta di un servizio che offre al guidatore una sintesi della giornata che lo aspetta – dal meteo al traffico in tempo reale, passando per gli appuntamenti in calendario e le notizie relative agli argomenti impostati. Una sorta di Google Now a marchio Nuance, pensato per la pronuncia ad alta voce e dedicato ai pendolari.



I comandi possono essere impartiti usando un linguaggio naturale, del quale Dragon Drive affina la comprensione nel tempo, ma anche la musica preferita e le abitudini entrano allo stesso modo a far parte del profilo del proprietario e salvate in cloud così da poter essere utilizzate anche su altri veicoli. E grazie al cloud e all’app per smartphone infine si possono sincronizzare informazioni accessorie con l’auto, ad esempio scegliendo dal telefono una destinazione e trovarla già preimpostata come punto di arrivo all’accensione del motore.

Anche di fronte a una serie di funzionalità avanzate di questo tipo, però, la questione del prezzo resta fondamentale. Perché scegliere un sistema integrato con l’automobile, generalmente costoso, quando ormai sono disponibili sul mercato app che fanno cose simili pesando solo sullo smartphone e decisamente meno sul portafogli?

Nel futuro delle auto connesse il cui firmware potrà essere aggiornato costantemente e la spesa necessaria a un sistema di infotainment darà come vantaggio una piattaforma da viaggio evoluta e costantemente all’avanguardia. Fortunatamente è un futuro prossimo: Dragon Drive supporta già questo tipo di update e lascia ai costruttori la decisione se sfruttarlo o meno. Nel frattempo, a detta della società, anche ora i benefici di un sistema fuso insieme all’abitacolo sono molteplici e vanno da un’integrazione più stretta con la strumentazione di bordo al funzionamento anche offline di molte delle funzionalità, passando per un riconoscimento vocale migliore e per il fatto che un prodotto del genere è progettato per funzionare senza inghippi.

E la società sta lavorando in questo senso: per Nuance l’interfaccia deve sparire dalla percezione dell’utente, che deve poter comunicare i suoi bisogni all’intelligenza artificiale – libero dall’incubo di opzioni e sottomenù tra i quali scegliere, e a beneficio di comodità e sicurezza.

mercoledì 9 dicembre 2015

Auto connesse vuol dire maggiore sicurezza sulle strade, pericoli dagli attacchi hacker




Se le automobili fossero tutte smart car, avremmo la certezza di una guida decisamente più sicura. I maggiori potenziali pericoli? I cybercriminali in grado di intercettare le comunicazioni e localizzare le vetture.

Panda Security evidenza che, se immaginassimo un mondo in cui nelle autostrade le automobili fossero tutte smart car, avremmo la certezza di una guida decisamente più sicura. Queste auto sono in grado di comunicare tra loro per evitare scontri e possono percorrere strade alternative in caso di incidenti rilevati. Inoltre, non passano mai con il semaforo rosso e in futuro i vigili potranno evitare di alzare il braccio per fermare le macchine, in quanto questa attività potrà essere svolta da remoto. 

L’Internet of Things ha l’obiettivo di salvaguardare vite umane nel settore automobilistico.
The National Highway Traffic Safety Administration (NHTSA) degli Stati Uniti stima che la tecnologia alla base di queste automobili potrà prevenire oltre mezzo milione di incidenti e oltre un milione di vittime ogni anno, solo negli Stati Uniti. General Motors ha già annunciato che la tecnologia vehicle to vehicle sarà introdotta sui modelli Cadillac nel 2017.

Tuttavia, la capacità di queste macchine di comunicare tra loro rappresenta un problema per gli esperti di sicurezza, in quanto potrebbero diventare bersagli di cyber attacchi, se qualcuno fosse in grado di intercettare le comunicazioni e riuscisse a localizzare le vetture. Ciò è già stato dimostrato dall’esperto di security Jonathan Petit durante la conferenza Black Hat Europe.

Il mese scorso Petit ha mostrato come una semplice penna laser sia in grado di confondere una smart car, facendole credere di avere un ostacolo sulla strada, quando in realtà nulla era presente. Oggi l’esperto ha illustrato come queste automobili possano essere facilmente rintracciate.

Le connected car utilizzano una gamma Wi-Fi per riuscire a comunicare da centinaia di metri di distanza. Questo è utile per evitare incidenti, in quanto possiedono una mappa completa di tutte le vetture in prossimità. Le connected car, a differenzia delle smart car, che elaborano l’ambiente utilizzando il sensore LIDAR (Light Detection and Ranging) posto sul tetto, non vedono ciò che è intorno a loro, ma lo rilevano.

Le informazioni inviate da un’auto a un’altra sono crittografate e sono relative alla loro posizione e velocità. Non vengono inviati dati legati alla targa, ma ogni messaggio possiede una firma digitale per evitare false comunicazioni o incomprensioni che potrebbero provocare incidenti.
Petit ha sfruttato la firma digitale per effettuare i propri test presso l’University of Twente nei Paesi Bassi. Ha posizionato due stazioni di “sniffing” (attività di intercettazione passiva dei dati che transitano in un network), in punti diversi del campus, dedicate alla raccolta di informazioni dalla rete. Ha parcheggiato anche un veicolo dotato di sistema V2X (vehicle-to-everything), in grado di recuperare i dati provenienti da veicolo a veicolo e da veicolo a infrastruttura.

Dopo due settimane, l’auto ha trasmesso oltre due milioni e mezzo di messaggi e le stazioni di sniffing ne hanno rilevati circa quarantamila, solo il 3% del totale. Con questi dati e con le firme digitali, Petit è stato in grado di identificare i veicoli, stimare dove fossero all’interno del campus con una precisione pari al 78% e risalire al luogo esatto con il 40% di successo.
Petit e il team di investigatori dell’University of Twente credono che i governi o i cyber criminali potrebbero utilizzare questo sistema su larga scala per monitorare tutte le automobili di una città. “I ladri potrebbero attendere che le auto della polizia siano impegnate in una determinata zona, per commettere un furto,” spiega Petit.

Con questa tecnica è semplice anche compromettere la sicurezza di connected e smart car, la quale consente di risalire a luogo, velocità e direzione delle vetture. Considerato che le stazioni hanno un costo di 511 euro, Petit reputa che per il momento l’unico metodo per effettuare questi attacchi sia con Raspberry Pi e radio Wi-Fi.

Per altri esperti, una possibile alternativa di difesa potrebbe essere quella di utilizzare pseudonimi diversi che cambino ogni cinque minuti per firmare i messaggi, nella speranza che i cyber criminali non siano in grado di identificare l’automobile e rintracciarla. Petit ha spiegato però che questo metodo implicherebbe solo un costo aggiuntivo del 50% per i cyber criminali, per la necessità di un numero maggiore di stazioni.

Al momento però non c’è motivo di preoccuparsi. Petit sta collaborando con Ford, General Motors e altre case automobilistiche per sviluppare strategie di protezione delle connected car. In pochi anni saremo in grado di beneficiare dei vantaggi di queste auto, con la garanzia di una completa sicurezza.

giovedì 3 dicembre 2015

Google vuole migliorare la sicurezza in auto





Tecnologia e automobili sono una combinazione pericolosa. Infatti, mentre alcuni sistemi come la messaggistica vocale possono essere di aiuto mentre si guida, esistono dei gadget che potrebbero rivelarsi solo una rischiosa distrazione. Google ha pensato ad un modo per risolvere il problema.

Stando a quanto riferito dall’US Patent & Trademark Office, Google starebbe brevettando un sistema per rilevare se chi indossa un wearable è alla guida di un’automobile in movimento oppure se è semplicemente un passeggero della stessa. Google vorrebbe poter utilizzare la posizione dell’indossatore del device e rilevare i suoi movimenti in modo da capire se stia effettivamente guidando o meno. Questa nuova funzione potrebbe essere inserita in moltissimi device con sistema operativo Android.
Google, tramite il dispositivo indossato, potrebbe quindi percepire se la persona gira il volante o cambia le marce, agendo poi di conseguenza: a quel punto disattiverebbe tutte le notifiche e le chiamate in arrivo sull’indossabile per migliorare la sicurezza a bordo del guidatore.

I sistemi che rilevano il movimento già esistono, ma non sono ancora in grado di capire se chi indossa un wearable si trova alla guida del veicolo o se è semplicemente un passeggero. Se Google riuscisse a sviluppare al meglio quest’idea sarebbe davvero un enorme passo avanti per la tecnologia. Purtroppo al momento dobbiamo accontentarci del brevetto e non sappiamo se e quando questa funzionalità effettivamente vedrà la luce.

Fleet2Track già permette di farlo.

lunedì 30 novembre 2015

LG anticipa Apple ed entra nel mercato delle auto elettriche con la Chevrolet Bolt EV




Che Apple sia interessata al settore automobilistico non è di certo un mistero, tuttavia troverà della concorrenza anche in questo campo. LG infatti, ha anticipato l’azienda di Cupertino, collaborando con la General Motors nella creazione della Chevrolet Bolt EV.

Si tratta di una nuova automobile elettrica presentata durante il salone dell’automobile di Detroit. L’auto sarà in grado di percorrere ben 300 km con una sola ricarca.

Per ottenere un risultato simile, la casa automobilistica doveva necessariamente collaborare con un partner in grado di fornire diverse tecnologie e servizi. LG è quindi il primo produttore ad entrare nel settore automobilistico con questo modello di Chevrolet che entrerà nell’ultimo ciclo di produzione entro la fine del 2016.

LG fornirà:
  • il motore elettrico basato su un progetto della General Motors,
  • il modulo inverter per convertire la corrente da continua ad alternata,
  • caricabatterie di bordo,
  • compressore per il sistema elettrico di controllo del climatizzatore
  • batteria a celle
  • moduli per mantenere basso il voltaggio degli accessori
  • modulo Power Line per gestire la comunicazione tra l’auto e la stazione di ricarica DC
  • cluster di strumenti
  • sistema di bordo
L’immagine che vedete in alto è un concept ufficiale di General Motors che indica proprio l’aspetto che avrà l’auto nel 2016.


martedì 24 novembre 2015

A bordo di una Volvo con la realtà aumentata di Microsoft



Siete interessati a comprare una Volvo? Volete vedere interno e dettagli dell’auto dei vostri sogni? Nel prossimo futuro potrete farlo semplicemente indossando un dispositivo di realtà aumentata, senza dover andare da un concessionario di automobili.


E’ quanto promette la partnership tra Microsoft e Volvo. Il produttore svedese ha annunciato che utilizzerà HoloLens, il dispositivo di realtà aumentata firmato Microsoft, per offrire ai clienti un’esperienza di showroom virtuale. Scott Ericsson, responsabile marketing del team HoloLens, ha dichiarato in un post che, grazie a questa collaborazione, gli utenti potranno esaminare un’automobile e vedere i dettagli dell’interno, anche in movimento.

l dispositivo di realtà aumentata HoloLens è dotato di sensori e strumenti di elaborazione che creano una finestra nel campo visivo di chi lo indossa, e attraverso questa finestra l’utente può interagire con gli oggetti digitali.
Volvo e Microsoft stanno lavorando insieme anche su altre iniziative, secondo quanto riportato da GeekWire. Le due aziende stanno collaborando su un progetto di auto a guida autonoma, in competizione con Tesla, Google e probabilmente Apple, se porterà a compimento il progetto della sua auto a guida autonoma.

Microsoft ha avviato diverse partnership per lo sviluppo di applicazioni del suo dispositivo di realtà aumentata: l’azienda ha annunciato che sta collaborando con la NASA, Trimble e la Case Western Reserve University.

Gli sviluppatori indipendenti interessati a HoloLens possono richiedere a Microsoft il developer kit, disponibile al costo di 3.000 dollari. Non è ancora noto quando questo dispositivo (che dovrebbe essere disponibile nel primo trimestre del 2016) giungerà alla versione finale per il mercato consumer.

Su Startit le ultime soluzioni sulla realtà aumentata.

venerdì 20 novembre 2015

Hacking delle auto: minaccia reale o ipotetica?


Il caso dell’hacking dal vivo di una jeep avvenuto pochi mesi fa ha riaperto il dibattito sulla possibilità che i sistemi informatici di cui sono dotate le auto di nuova generazione possano essere effettivamente violati.

l caso dell’hacking dal vivo di una jeep avvenuto pochi mesi fa ha riaperto il dibattito sulla possibilità che i sistemi informatici di cui sono dotate le auto di nuova generazione possano essere effettivamente violati. Nello specifico, la notizia riportata inizialmente da Wired è stata criticata da alcune persone per il risalto sensazionalistico dato al rischio che i sistemi delle auto possano essere violati.

Un dato è certo: il veicolo descritto nell’articolo di Wired è stato effettivamente violato da remoto perché qualcuno che si trovava a una notevole distanza dal veicolo ne ha preso il controllo, causando potenziali danni. E non è né la prima né l’ultima volta, né è l’unica marca di veicoli con cui è stato possibile effettuare qualcosa di simile. Alcune ricerche scientifiche (cfr. “Comprehensive Experimental Analyses of Automotive Attack Surfaces”, “Fast and Vulnerable: A Story of Telematic Failures”) documentano di attacchi nei confronti di numerose vetture e di come sia possibile ottenere il controllo remoto totale di una vettura. Inoltre numerosi ricercatori, come quelli del gruppo di Stefan Savage dell’UCSD di San Diego, hanno chiaramente mostrato come numerosi marchi di auto possano essere attaccati da remoto utilizzando strumenti e tecniche di carattere spiccatamente “hacking” e hanno evidenziato che molte case automobilistiche hanno intrapreso azioni volte a ridurre le vulnerabilità delle proprie vetture. Un’azione correttiva è stata ad esempio avviata da FCA (Fiat Chrysler America), la società che ha messo su strada la Jeep di cui racconta l’articolo di Wired. Tuttavia correggere queste vulnerabilità non pone fine alla storia, poiché sanare le falle in un sistema non significa che questo non sia stato violato.

E’ vero che non serve utilizzare toni sensazionalistici per attirare l’attenzione sulle vulnerabilità relative alla sicurezza automobilistica e che idealmente i ricercatori devono lavorare in silenzio dietro le quinte con le case automobilistiche e i loro fornitori per risolvere i problemi più rapidamente possibile, cercando di non ripresentarli nei progetti sui prodotti futuri. Ma quando i documenti di ricerca, le dimostrazioni nei parcheggi e le azioni dirette non riescono a convincere una società a istituire misure di protezione, allora spetta ai ricercatori rompere le fila con questo approccio e dare voce ad una reale ed importante problematica di sicurezza.

La vettura controllata da remoto, finita in una scarpata dopo che sono stati disattivati i freni


venerdì 13 novembre 2015

Google vuole migliorare la sicurezza in auto


Google ha brevettato una funzione per migliorare la sicurezza in auto di chi indossa un wearable.


Tecnologia e automobili sono una combinazione pericolosa. Infatti, mentre alcuni sistemi come la messaggistica vocale possono essere di aiuto mentre si guida, esistono dei gadget che potrebbero rivelarsi solo una rischiosa distrazione. Google ha pensato ad un modo per risolvere il problema.
Stando a quanto riferito dall’US Patent & Trademark Office, Google starebbe brevettando un sistema per rilevare se chi indossa un wearable è alla guida di un’automobile in movimento oppure se è semplicemente un passeggero della stessa. Google vorrebbe poter utilizzare la posizione dell’indossatore del device e rilevare i suoi movimenti in modo da capire se stia effettivamente guidando o meno. Questa nuova funzione potrebbe essere inserita in moltissimi device con sistema operativo Android.
Google, tramite il dispositivo indossato, potrebbe quindi percepire se la persona gira il volante o cambia le marce, agendo poi di conseguenza: a quel punto disattiverebbe tutte le notifiche e le chiamate in arrivo sull’indossabile per migliorare la sicurezza a bordo del guidatore.

I sistemi che rilevano il movimento già esistono, ma non sono ancora in grado di capire se chi indossa un wearable si trova alla guida del veicolo o se è semplicemente un passeggero. Se Google riuscisse a sviluppare al meglio quest’idea sarebbe davvero un enorme passo avanti per la tecnologia. Purtroppo al momento dobbiamo accontentarci del brevetto e non sappiamo se e quando questa funzionalità effettivamente vedrà la luce.

Fleet2Track ha già tanti wearable disponibili per la sicurezza del conducente e dei suoi passeggeri.


giovedì 5 novembre 2015

Le auto senza conducente dovrebbero uccidere i loro passeggeri pur di salvare un pedone?



Immagina di trovarti in un’auto che si guida da sola e che stia per investire un gruppo di pedoni. L’unica alternativa sarebbe sterzare e finire in un burrone. Che dovrebbe fare l’auto? I filosofi si sono scervellati su un dilemma simile per anni, ma la discussione oggi assume un nuovo significato con l’arrivo delle automobili senza guidatore, che nei prossimi anni dovrebbero diventare molto comuni.

In particolare, le auto di Google, della Tesla e di altri produttori dovranno affrontare un esperimento mentale molto discusso chiamato “dilemma del carrello”. Nell’esperimento un carrello ferroviario sta per travolgere cinque persone: tu puoi tirare una leva per deviare la corsa su un altro binario, dove c’è solo una persona. Dovresti ucciderla per risparmiare le altre cinque?
Molti credono di sì, ma questo istinto morale è complicato da altri scenari. Per esempio: sei su un cavalcavia sopra il binario e vedi un carrello ferroviario lanciato a grande velocità contro cinque persone. Accanto a te c’è un uomo grasso, e sai che il suo peso basterebbe a fermare la corsa del veicolo. È morale scaraventarlo giù per salvare quei cinque?

Finire nel burrone
Secondo uno studio pubblicato a ottobre sul sito scientifico Arxiv se si chiede a persone che non si occupano di filosofia come dovrebbe comportarsi un’auto senza pilota nel caso sia inevitabile la morte degli occupanti o quella dei pedoni, la maggior parte risponderà che le auto dovrebbero essere programmate in modo da non ferire i passanti.
I ricercatori, guidati dallo psicologo Jean-François Bonnefon della scuola di economia di Tolosa, hanno presentato a novecento persone vari scenari di possibili incidenti. E hanno scoperto che il 75 per cento pensa che l’auto debba sempre sterzare e uccidere il passeggero, anche per salvare un solo pedone.
Il “dilemma del carrello” è al centro delle discussioni perché è un esempio della tensione tra il dovere morale di non fare danno e quello di non commettere azioni malvagie.
La vecchia scuola di pensiero, l’utilitarismo, sostiene che l’azione morale è quella che genera la felicità maggiore al maggior numero di persone. In base a questo ragionamento, un’auto senza conducente dovrebbe scegliere l’azione che garantisce di risparmiare il maggior numero di persone, indipendentemente dal fatto se siano passeggeri o pedoni.
Se morissero cinque occupanti dell’auto nello schianto contro il muro, il mezzo dovrebbe proseguire la sua corsa anche se ciò comportasse l’investimento di un pedone. Il ragionamento può sembrare semplicistico, ma è difficile contestare i dettagli della teoria utilitaristica, concepita dal filosofo inglese dell’ottocento John Stuart Mill.

Di chi è la responsabilità
In ogni modo, altri pensatori intervenuti nella discussione sul “dilemma del carrello” sostengono che l’utilitarismo è un approccio rozzo, e che l’azione moralmente corretta non si limita a valutare le conseguenze, ma considera anche di chi sia la responsabilità morale.
In una serie di lezioni al riguardo, Helen Frowe, docente di filosofia pratica all’università di Stoccolma, afferma che i produttori di auto a guida autonoma dovrebbero programmare i loro veicoli in modo da proteggere i passanti, perché chi si trova nell’auto ha più responsabilità negli incidenti che potrebbe provocare.
“Abbiamo imperativi piuttosto rigorosi che ci dicono di non uccidere le persone”, ci ha detto. “Se hai deciso di salire su un’auto a guida automatica, questo crea il rischio”.
La questione etica assume aspetti più complicati quando l’argomentazione di Frowe rimanda a un’azione morale diversa da quella della teoria utilitarista. Per esempio, un’auto a guida autonoma potrebbe avere quattro occupanti, o magari due bambini nel sedile posteriore. Come cambia il calcolo morale?
Se i passeggeri sono tutti adulti, Frowe ritiene che siano loro a dover morire per evitare lo scontro anche con il pedone, perché gli adulti hanno scelto di salire nell’auto e quindi ne hanno la responsabilità morale.
Anche se Frowe ritiene che i bambini non siano moralmente responsabili, sostiene che non è ammissibile dal punto di vista etico uccidere una persona per salvare due bambini. “Più è alto il numero di bambini, più diventa facile giustificare il fatto che ne venga ucciso anche uno solo. Ma nei casi in cui ci siano solamente adulti sul veicolo, potrebbe essere necessario doverne salvare un bel po’ – più di dieci, magari tutti quelli che ci stanno in un autobus – per rendere moralmente accettabile l’uccisione anche di una sola persona”.

Meglio non far nulla
Non invidiamo i poveri progettisti del software (e anche i legali) impegnati a venirne a capo, dato che le cose possono diventare ben più intricate. E se un pedone fosse sbadato, o addirittura fosse spuntato davanti all’automobile con la precisa intenzione di farla sterzare e uccidere l’occupante? Visto che le auto senza conducente non sono in grado di valutare le intenzioni dei pedoni, questo risvolto morale è davvero molto difficile da prendere in considerazione.
I filosofi sono lontani da una soluzione, nonostante i fiumi di carta in cui hanno sviscerato ogni minimo dettaglio etico. Per esempio, è più immorale puntare l’auto contro un pedone isolato, oppure non fare proprio niente e lasciare che la vettura investa qualcuno? Il professore Warren Quinn, che insegnava alla University of California, ha respinto l’idea utilitarista secondo la quale la moralità deve massimizzare la felicità, per sostenere invece che gli esseri umani hanno il dovere di rispettare le altre persone. Dunque dal punto di vista etico un’azione che arreca danni in maniera diretta e deliberata è peggiore di una indiretta che li provochi in maniera casuale.
Ovviamente, capiterà molto di rado una situazione in cui le auto senza conducente si trovino a dover scegliere tra due sole linee di condotta e siano in grado di calcolare, con un grado di certezza pari al 100 per cento, che entrambe portino alla morte. Però quando tra un po’ di tempo ci saranno abbastanza auto senza conducente sulla strada, non è del tutto assurdo che i programmi di guida dovranno scegliere se ferire un pedone o un passeggero. Qualsiasi auto senza conducente sicura dovrebbe essere in grado di riconoscere e valutare questi casi.
I produttori di auto autonome devono ancora rendere noto il loro punto di vista sulla faccenda. Però, data la mancanza di unanimità anche al livello filosofico, pare improbabile che riescano a trovare una soluzione che accontenti tutti.

mercoledì 4 novembre 2015

Tesla, il nuovo software per la Model S attiva un (quasi) completo meccanismo di guida automatica


Tesla ha aggiornato il software di gestione del modello S dei suoi autovecoli, un update che dovrebbe essere distributo a breve negi USA e nel resto del mondo. Si tratta di un aggiornamento importante poiché consente il controllo semiautomatico. Il pilota automatico si serve di una telecamera rivolta in avanti, di radar e sonar con sensori a 360°, funzioni di aggiornamento automatico del traffico che permettono di guidare Model S sia sulle strade sgombre sia in quelle più affollate.



La casa automobilistica ha integrato un meccanismo di cambio automatico di corsia (basta accendere l’indicatore di direzione quando, ad esempio, si incontra qualcuno che viaggia troppo lentamente), funzioni che rilevano un posto libero nel parcheggio e che consentono di parcheggiare l’auto da sola, automaticamente. Specifici dispositivi di sicurezza tengono costantemente sotto controllo segnali stradali, semafori, pedoni e avvisano in caso di cambi di corsia non intenzionali.

Il conducente deve rimanere presente e attento; si possono togliere le mani dal volante per pochi secondi ma se lo fa per troppo tempo viene emesso un segnale acustico e l’auto si fermerà da sola per sicurezza. Il conducente è insomma sempre responsabile, una scelta conservativa che contrasta con quanto dichiarato recentemente da Volvo che, in caso di sinistri, vuole esonerare i conducenti da responsabilità nelle auto a guida automastica.

All’interno della Model S, c’è un touchscreen da 17”, inclinato verso il conducente e dotato di modalità giorno e notte, per garantire una migliore visibilità e minori distrazioni. Lo schermo offre la possiiblità di controllare vetri, climatizzatore, radio, la connessione per dispositivi portatili consente di trovare una destinazione, canzoni, cercare ristoranti, ecc. Le Mappe e navigatore offrono aggiornamenti automatici gratuiti per 7 anni.

giovedì 29 ottobre 2015

Sempre più "smart": ecco come funzioneranno i camion intelligenti di domani



Oggi sulle strade europee sono presenti circa 175.000 camion Volvo connessi online. Già da ora, alcuni di essi sono in grado di inviare informazioni sulla necessità di manutenzione, tanto che è addirittura possibile effettuare alcuni interventi in remoto. Ma questo è solo l'inizio.
«Ad esempio, nei prossimi anni il camion potrà monitorare il proprio stato in tempo reale: in questo modo l'assistenza sarà più semplice e rapida e, di conseguenza, la produttività sarà migliore per tutti, autisti, officine e società di trasporti», spiega Hayder Wokil, Director Quality and Uptime presso Volvo Trucks.
In futuro, il camion renderà più agevole anche il lavoro amministrativo in officina, perché potrà prenotare i propri interventi di assistenza quando e se necessario, riservando il meccanico appropriato per i lavori e ordinando in anticipo i ricambi. Le riparazioni potranno essere eseguite ovunque si trovi il camion e in orari adeguati al suo programma di lavoro.
«L'intervento di assistenza verrà sincronizzato con gli orari di lavoro del camion e sarà prenotato nell'officina più vicina in un momento in cui il veicolo non sarebbe stato comunque operativo, ad esempio di notte o durante le pause obbligatorie dell'autista. Tramite la connettività online, il camion potrà anche eseguire semplici riparazioni in remoto e in totale autonomia», continua Hayder Wokil.
Il camion di domani darà spazio anche a una maggiore flessibilità. Visto che per questi mezzi il potenziale di connettività continua a svilupparsi, sarà possibile definire le specifiche dei veicoli perché siano adeguate a ogni singolo incarico, con conseguente maggiore efficienza nelle operazioni.
«I camion della prossima generazione saranno sempre più personalizzati: ad esempio, potranno essere specificati su misura per adeguarsi alle esigenze dell'operatore e allo stile di guida dell'autista. Potranno anche aggiornare la propria configurazione per eseguire al meglio incarichi di trasporto specifici», spiega Hayder Wokil.
Per trarre il massimo vantaggio dalla connettività, è fondamentale raccogliere una grande quantità di dati.
Secondo Per Adamsson, Director Strategy and Business Development presso Volvo Group Telematics, i camion seguiranno la stessa tendenza evidenziata di recente per gli smartphone. Nel settore automotive, si parla di "smartphone su ruote".
«In un futuro prossimo, i camion potranno comunicare con altri utenti della strada e con dispositivi dotati di connessione mobile in remoto, ad esempio i caschi, per contribuire a ridurre il rischio di incidenti e i fermi imprevisti», rivela Per Adamsson.
«Grazie alla connettività online, in futuro il camion potrà monitorare in modo indipendente lo stato del traffico e selezionare l'itinerario più efficiente in caso di ingorghi o lavori stradali presenti lungo il percorso», continua.
Tuttavia, anche se gran parte della tecnologia necessaria per realizzare il camion di domani esiste già oggi, può passare del tempo prima che questo scenario si realizzi.
«La sfida più grande consiste nel vagliare l'enorme quantità di dati che raccogliamo dai veicoli. Prima di poter trasformare in quotidiana realtà l'idea di una nuova generazione di camion, sarà necessario sviluppare ulteriormente l'infrastruttura per la connettività in tutto il mondo», dichiara Hayder Wokil.
Quattro tendenze future nel settore dei trasporti
1) Servizi intelligenti
Entro pochi anni, i produttori di camion saranno in grado non solo di prevedere i guasti, ma anche di capire meglio perché si verificano prima che accadano. Il veicolo sarà anche in grado di correggere da solo guasti minori, emettendo un avviso e prenotando un intervento di assistenza prima che nascano problemi.
2) Riduzione del carico amministrativo
In futuro, per società di trasporti e officine l'assistenza comporterà molto meno lavoro amministrativo, perché il camion sarà in grado di gestirla in gran parte da solo, ad esempio prenotando gli interventi o scaricando e aggiornando il proprio software di bordo.
3) Veicoli connessi
Tutti i prodotti di uso quotidiano, come orologi, giacche e caschi, in futuro saranno in grado di comunicare direttamente tra loro, se utile. Ad esempio gli orologi da polso non indicheranno solo l'ora, ma potranno monitorare il battito cardiaco dell'autista ed emettere un avviso o addirittura attivare il pilota automatico in caso di problemi.
4) Personalizzazione

Con più informazioni a disposizione sull'autista e sul proprietario del camion, per il produttore diventa più semplice personalizzare il veicolo perché sia perfettamente adeguato agli stili di guida e agli incarichi di trasporto specifici

Con www.fleet2track.it puoi farlo fin da subito.

lunedì 26 ottobre 2015

Volvo, presto il camion sarà nell'Internet delle Cose


Il costruttore svedese di veicoli industriali mostra le principali innovazioni che vedremo nei prossimi anni e che interessano soprattutto la connessione telematica tra l'automezzo e l'ambiente.


Entro breve tempo - afferma Hayder Wokil, Director Quality and Uptime di Volvo Trucks - assisteremo a una vera rivoluzione nei trasporti. E poi rilancia sostenendo che "i veicoli intelligenti del futuro assomigliano più a smartphone su ruote che a un camion tradizionale". Già oggi, ovviamente, i veicoli pesanti sono connessi online e solo quelli marcati Volvo che viaggiano sulle strade europee sono 175mila. Ma, precisa la Casa svedese, questo è solo l'inizio.
Un campo importante d'applicazione è la manutenzione: "Nei prossimi anni il camion potrà monitorare il proprio stato in tempo reale. In questo modo l'assistenza sarà più semplice e rapida e, di conseguenza, la produttività sarà migliore per tutti, autisti, officine e società di trasporti", spiega Wokil. Ciò agevolerà anche il lavoro amministrativo dell'officina, perché il camion stesso potrà prenotare in modo automatico gli interventi si assistenza, riservando così il tecnico appropriato e ordinando in anticipo i ricambi.
"L'intervento di assistenza verrà sincronizzato con gli orari di lavoro del camion e sarà prenotato nell'officina più vicina in un momento in cui il veicolo non sarebbe stato comunque operativo, ad esempio di notte o durante le pause obbligatorie dell'autista. Tramite la connettività online, il camion potrà anche eseguire semplici riparazioni in remoto e in totale autonomia", prosegue Hayder Wokil.
Un altro elemento è la personalizzazione dell'autoveicolo, sulla base delle sue attività: "I camion della prossima generazione saranno sempre più personalizzati. Per esempio, potranno essere specificati su misura per adeguarsi alle esigenze dell'operatore e allo stile di guida dell'autista. Potranno anche aggiornare la propria configurazione per eseguire al meglio incarichi di trasporto specifici".


Il paragone con gli smartphone è giustificato - secondo Per Adamsson, Director Strategy and Business Development di Volvo Group Telematics – dalle possibilità offerte dalla comunicazione: "In un futuro prossimo, i camion potranno comunicare con altri utenti della strada e con dispositivi dotati di connessione mobile in remoto per contribuire a ridurre il rischio di incidenti e i fermi imprevisti. Grazie alla connettività online, in futuro il camion potrà monitorare in modo indipendente lo stato del traffico e selezionare l'itinerario più efficiente in caso di ingorghi o lavori stradali presenti lungo il percorso».
La tecnologia per attuare tutto ciò esiste e viene in parte già usata oggi. Il problema non è tanto nell'hardware di borso, quanto, precisa Wokil, "nel vagliare l'enorme quantità di dati che raccogliamo dai veicoli. Prima di poter trasformare in quotidiana realtà l'idea di una nuova generazione di camion, sarà necessario sviluppare ulteriormente l'infrastruttura per la connettività in tutto il mondo".



giovedì 22 ottobre 2015

Dall'auto alla casa l'Internet of Things conquista le assicurazioni


Polizze su misura, costi ridotti, maggiore capacità di prevedere i rischi: gli assicuratori d'auto, ma anche di altri settori, integrano sempre più spesso nella loro attività device connessi e analisi dei dati


Anche gli assicuratori d'auto possono proficuamente usare la Internet of Things per il loro business; anzi, società americane come Progressive, Allstate e State Farm sfruttano già la IoT per monitorare le abitudini dei loro assicurati, raccogliendo dati che rivelano quanto spesso usano la macchina, per quanto tempo guidano e in quali orari della giornata, addirittura le variazioni nella velocità del loro veicolo. Questi dati e la loro analisi possono aiutare le società assicuratrici ad abbattere i costi grazie a una migliorata capacità di valutare i livelli di rischio dei loro clienti mentre i consumatori possono aspettarsi di pagare premi meno alti, sempre che guidino con prudenza.

I sistemi più utilizzati per monitorare le abitudini di guida, si legge nel più recente studio di BI Intelligence, sono quelli basati sulle chiavette per la diagnostica di bordo (On Board Diagnostic dongles), che mandano dati sulle abitudini del conducente direttamente all'assicuratore. Queste "chiavette" con porta Usb sono inserite nella macchina sotto il volante e connesse in Rete. BI Intelligence stima che ci sono già 155 milioni di veicoli circolanti in Nord America compatibili con i kit di diagnostica di bordo e il loro numero salirà perché il parco macchine continua ad essere rinnovato.

Lo studio di BI Intelligence esamina l'impatto della IoT sull'industria assicurativa analizzando in particolare i mercati assicurativi degli Stati Uniti e i modi in cui gli assicuratori integrano i device della IoT nella loro attività. Tutti i settori sono indagati, non solo le assicurazioni auto, ma anche sulla vita, sulla salute o sulla proprietà; tuttavia le assicurazioni d'auto sono quelle che più spesso adottano il modello assicurativo usage-based (USI): entro il 2020, più di 50 milioni di automobilisti statunitensi avranno provato l'assicurazione UBI, che permette, potenzialmente, di abbassare il premio.

Al tempo stesso la IoT aiuta gli assicuratori a ridurre i rischi e mitigare i costi: per esempio, le società che assicurano le case negli States spingono i loro clienti a installare device connessi che avvisano di potenziali pericoli per la proprietà. Inoltre, l'analisi basata sulla IoT può essere usata per prevedere eventi futuri, come emergenze meteo; gli assicuratori avvertono i clienti e cercano di contenere i danni, oppure preparano polizze più in linea con i profili di rischio.

BI Intelligence nota anche che le società di assicurazioni sulla proprietà impiegano in misura crescente i droni per valutare i danni dopo un incidente: la società di consulenza Cognizant stima che i droni renderanno più efficiente del 40%-50% il lavoro dei periti che valutano i danni per le assicurazioni.


venerdì 16 ottobre 2015

Robot e big data, Audi reinventa la produzione con la Smart Factory


Audi ha immaginato la fabbrica del futuro: un sistema modulare armonico ed efficiente che si muove come un’orchestra


La data fissata è il 2035. È l’anno entro cui la produzione dei modelli della casa dei quattro anelli verrà rivoluzionata passando da un sistema basato sulla catena di montaggio ad una struttura modulare composta da punti di produzione coordinati da una torre di controllo centrale.

È la Smart Factory, la nuova sfida di Audi: «La nostra idea è costruire unità produttive più piccole e flessibili che possano lavorare esattamente dove si trova la domanda, rispondendo in modo più veloce ed efficiente alle esigenze dei nostri clienti» spiega Felix Schwabe, portavoce del progetto. Le automobili del futuro secondo Audi non saranno molto diverse da quelle del 2015. Avranno ancora quattro ruote e saranno composte principalmente di metallo (anche se nei laboratori di ricerca Audi si stanno sperimentando materiali alternativi come la canapa e altri prodotti organici), ma quello che cambierà radicalmente sarà il sistema con cui vengono realizzate. Si chiama “Produzione 4.0”, un futuro vicino fatto di networking, robotica e un altissimo livello di tecnologia che non escluderà l’intervento specializzato dell’uomo: «La Smart Factory è integrazione, digitalizzazione, networking, una logistica innovativa e un design progettato su misura per ogni automobilista.

Le auto si possono comprare ovunque, noi vogliamo offrire un servizio personalizzato e flessibile» dice Alois Brandt, membro del teamche ad Ingolstadt sta immaginando la fabbrica del futuro.

Come si può realizzare? Sviluppando al massimo la tecnologia, per esempio introducendo l’uso di stampanti 3D e scanner per disegnare i sedili su misura del guidatore nei Costumer Center, droni per trasportare i vari elementi da un modulo all’altro e una nuova generazione di robot intelligenti in grado di assistere i lavoratori specializzati, ma soprattutto costruendo una rete di comunicazione basata sull’analisi dei Big Data. Tutto ruota intorno ad un concetto: il passaggio dai Big Data agli Smart Data, ovvero creare un sistema che sia in grado di gestire un flusso di lavoro in cui tutte le parti comunicano con le altre generando un enorme volume di dati che vanno processati continuamente e resi, appunto, intelligenti. Fabian Rusitschka del Technology Development Innovation Management di Audi ci lavora da oltre tre anni: «Non bisogna più ragionare in termini di cicli produttivi lineari con tempistiche prestabilite, è necessario immaginare un sistema interconnesso che riesca a gestire ogni tipo di domanda di automobili, sia dal punto di vista dei numeri che delle specifiche dei diversi modelli».

La soluzione più affascinante è quella delle cosiddette “Isole di Competenza”: nella Smart Factory modulare l’automobile non viene più prodotta in serie in catena di montaggio ma si muove da un punto di produzione all’altro, viene rifornita dei materiali e delle lavorazioni necessarie e poi passa al punto successivo fino a quando è pronta per essere consegnata al cliente con tutte le personalizzazioni e gli accessori che ha richiesto. Il sistema sa esattamente dove sono le singole parti e ciò di cui l’automobile ha bisogno in ogni fase e la indirizza ogni volta verso l’isola di competenza adeguata. È una danza tecnologica che si svolge seguendo la musica invisibile composta dal flusso di dati ed è coordinata da un direttore d’orchestra, la torre centrale, il cervello del sistema. È questo il vero futuro della tecnologia, dare vita a realtà sempre più sorprendenti, armoniche ed efficienti. La Smart Factory non è solo un progetto, è un obiettivo. E la sua realizzazione è sempre più vicina. Audi vuole provare a realizzarlo per continuare ad essere all’avanguardia della tecnica.



martedì 13 ottobre 2015

Autoveicoli autonomi, Volvo pronta ad assumersi le responsabilità in caso di incidenti


Volvo è sicura che i veicoli che si guidano da soli permetteranno di ridurre al minimo il rischio delle collisioni ed è pronta ad assumersi le responsabilità in caso di sinistri




Tutte le più importanti società dell’industria automobilistica e big nel settore IT, Apple inclusa, stanno lavorando agli autoveicoli autonomi, tecnologia che potenzialmente potrebbe migliorare sensibilmente la sicurezza sulle strade. Rimane da risolvere il problema della responsabilità in caso di incidenti, determinare come calcolare la percentuale di responsabilità in caso di sinistri. Un’interessante presa di posizione arriva da Volvo. Håkan Samuelsson, CEO della società svedese, ha detto che la sua azienda è pronta ad assumersi le piene responsabilità in caso di incidente provocato da un veicolo a guida autonoma. Volvo probabilmente sta studiando accordi ad hoc con le assicurazioni, una mossa che potrebbe spingere anche altri produttori a fare lo stesso. Samuelsson chiede ad ogni modo agli stati USA ma anche all’Europa una proposta di armonizzazione globale di regole e leggi al fine di disciplinare la presenza di veicoli autonomi sulle strade. Negli USA al momento solo in alcuni stati sono accettati questo tipo di veicoli ma ogni stato ha sue specifiche regole per la circolazione.

Volvo da tempo sta sperimentando veicoli automatici; alcune auto a guida semi autonoma sono già in circolazione sulle strade svedesi e il produttore ha dichiarato che entro il 2017 i primi clienti reali utilizzeranno 100 Volvo semi automatiche sulle strade pubbliche: il primo progetto di guida autonoma su larga scala al mondo. Il progetto è realizzato grazie a una collaborazione tra Volvo Car Group, Ministero dei Trasporti svedese, Ente Trasporti svedese, Politecnico Lindholmen e Città di Göteborg, ed è sostenuto dal governo svedese.

Tra i vantaggi delle auto che si guidano da sole, Volvo evidenzia interventi inferiori su freni e acceleratore e il notevole risparmio di carburante sarà notevole, in determinate circostanze arriva fino al 50% in meno. La casa svedede si è posta di raggiungere l’obiettivo di zero vittime causate da lesioni mortali o gravi alla guida di una nuova Volvo entro il 2020. Come abbiamo spiegato qui, da un lato, questi veicoli sono praticamente esenti da incidenti e comportano poco o nessun rischio dal punto di vista delle collisioni, il che dovrebbe permettere di ridurre drasticamente i premi, con un conseguente impatto diretto sulla comunità delle assicurazioni; d’altra parte, ciò comporta una nuova serie di rischi che tradizionalmente gli assicuratori non sono stati abituati ad affrontare.

mercoledì 7 ottobre 2015

Audi: la realtà virtuale aiuta il montaggio


Un bracciale e la tecnologia dei videogiochi supportano la Casa tedesca nella preparazione di una catena di montaggio


Prima dell’inizio del montaggio di ogni nuova serie di modelli, in Audi esiste un reparto che simula ogni gesto e ogni passaggio che verrà poi fatto in fase di assemblaggio. Come? Con l’aiuto della realtà virtuale. Chiamata CAVE, in questo caso.

IL FUTURO E’ QUI - Nella sede della Casa dei quattro anelli, un ufficio e uno staff apposito studiano in 3D i materiali e i pezzi da assemblare e anche i movimenti che i vari addetti dovranno ripetere ogni giorno per mettere insieme le varie parti delle auto. Sono i dipendenti stessi a fare da protagonisti, muovendosi in uno spazio apposito dove possono replicare i gesti quotidiani con tanto di occhiali 3D e di un bracciale bluetooth che invia a un computer informazioni sui movimenti dei muscoli dell’avambraccio.

COME IN UN VIDEOGIOCO - A spostare i vari componenti virtuali sono gli invece gli sviluppatori, che utilizzano invece un controller derivato da una console di videogames. Anche questo è un passaggio importante, perché in fase di assemblaggio reale permette di posizionare i vari componenti nel modo più corretto e funzionale per ogni addetto.

UTILE PER TUTTI - Quello del CAVE un aspetto fondamentale della produzione di una serie di modelli, perché attraverso i risultati e i dati forniti dalla realtà virtuale è possibile ottimizzare al meglio sia gli spazi e gli ingombri, sia la quantità di movimenti e passaggi da far fare agli addetti di ogni singola zona della catena di montaggio.
In questo caso, si può dire che la realtà virtuale è utile sia per risparmiare tempo sia per preservare intatte le capacità fisiche dei lavoratori.


mercoledì 30 settembre 2015

Rivoluzione delle auto, secondo un sondaggio arriverà da Google e Apple


Da uno specifico studio di settore, l’entusiasmo per le vetture con guida autonoma appare ancora limitato. I potenziali clienti hanno fiducia in ciò che potrebbe arrivare da Google e Apple.




Lo studio intitolato “Global Automotive Mobility” dei consulenti di Arthur D. Little fa luce su tre mega-trend che nelle aspettative dell’industria automobilistica si ritiene potranno caratterizzare il prossimo decennio, quali il car-sharing, le vetture con guida autonoma e la mobilità elettrica. Sono stati analizzati i risultati di un sondaggio che ha coinvolto 65.000 clienti finali in 10 mercati, mostrando un’industria, quella automobilistica, che sta affrontando cambiamenti enormi.

L’entusiasmo per le vetture con guida autonoma appare ancora ragionevolmente limitato. Solo un terzo delle persone che ha risposto al sondaggio afferma la volontà di utilizzare tale tipologia di auto. Allo stesso modo, le prospettive dell’e-mobility non appaiono particolarmente brillanti. I prezzi alti, la limitata gamma di prodotti e il limitato numero di stazioni di ricarica sembrano essere gli ostacoli principali. Smentita, invece, l’affermazione che possedere un auto di proprietà non sia più importante per le nuove generazioni.

I potenziali clienti appaiono scettici riguardo al più grande trend atteso dall’industria, le vetture a guida autonoma. Come accennato solo un terzo dei rispondenti afferma la volontà di utilizzare una vettura a guida autonoma. Il 42% dei rispondenti afferma di voler utilizzare una vettura a guida autonoma, mentre il 30% ha dubbi a riguardo e il 28% la considera una possibilità.

Il team ha anche evidenziato la domanda relativa a quali aziende riscontrino la fiducia dei Consumatori nel portare vetture a guida autonoma affidabili in produzione di serie. Sebbene la maggior parte delle case automobilistiche intervistate godano di elevata fiducia da parte dei consumatori nei loro mercati nazionali, Google e Apple hanno segnato il punteggio più alto per quanto riguarda il global reach. Il sondaggio evidenzia un consenso globale sulla mobilità elettrica: i principali ostacoli alla rivoluzione della mobilità elettrica sono i prezzi elevati (64%), la gamma di prodotti limitata (53%) e il numero insufficiente di stazioni di ricarica (41%).

Lo studio mostra come il concetto di mobilità stia cambiando profondamente nella mente dei consumatori, soprattutto nelle megalopoli globali, dove i modelli classici di mobilità non sono in grado di risolvere i problemi attuali degli utenti finali. Il car-sharing e i servizi di guida avranno dunque un ruolo importante in queste aree. Per molto tempo, una delle principali assunzioni alla base di questa evoluzione è stata il fatto che il ruolo della vettura come status symbol sarebbe diminuito, a favore di un incremento nell’utilizzo del car-sharing. Tuttavia, come evidenziato da Wolf-Dieter Hoppe, Associate Director della Practice Automotive di Arthur D. Litt, “Il Car-sharing non sostituirà le vetture private –mentre è visto come un’opzione aggiuntiva di mobilità”.

venerdì 25 settembre 2015

IBM rivela IoT per le automobili

Internet of Things (IoT) for Automotive di IBM aiuta a rendere i dati disponibili ai guidatori, per instradarli sui percorsi più efficienti in termini del traffico




Internet of Things (IoT) for Automotive aiuta a rendere i dati disponibili ai guidatori, per instradarli sui percorsi più efficienti in termini del traffico.
È alto il potenziale dei sistemi cloud-based, destinati a giocare il ruolo di leva nel futuro delle connected cars e nella tecnologia in-cars.

Le case automobilistiche tedesche BMW, Mercedes-Benz e Audi stanno assumendo esperti di software per rispondere alla sfida di Google, Uber (che ha assunto gli hacker della Jeep di Fca) e, chissà in futuro, di Apple car.

IoT for Automotive sarà integrata in IoT Foundation di IBM, lanciato a inizio anno, che fornisce una piattaforma costruita in partnership con ARM per creare software ed hardware che si connette con un’ampia gamma di dispositivi connessi e miete i dati. Ibm Foundation permette a IoT for Automotive di collezionare i dati da sensori individuali in un’auto e li combina con dati provenienti da altre fonti, come geo-localizzazione, informazioni clienti e storia del veicolo e li analizza in real time grazie al cloud computing. L’informazioni derivanti da terze parti possono essere aggiunte da un mix di first-party e sensor data, per ottenere un’immagine delle attività dell’auto e del guidatore.

Tutto questo con Fleet2Track lo potete già fare.


lunedì 21 settembre 2015

Smart city, il futuro è l’auto senza conducente e i semafori scompariranno


I ricercatori di Cnr e Mit: «Si passerà dal possesso all’accesso»


Il futuro sta già cominciando», spiega Paolo Santi, ricercatore del Cnr che al «Senseable City Lab» del Mit di Boston coordina i progetti sulla mobilità incrociando tecnologie digitali, big data e sistemi di trasporto. «La città davvero all’avanguardia nel campo del trasporto pubblico è senz’altro Singapore – racconta –. Dove dal 2016 partirà un nuovo progetto a cui collabora anche il Mit per introdurre auto senza conducente in ambiente urbano aperto». Sarà un processo graduale: serviranno 5 anni per affinare le tecnologie e poi passare alla produzione di massa. «Si partirà con un decina di auto, all’inizio ci saranno dei conducenti/tutor che affiancheranno i passeggeri per superare la diffidenza iniziale di un’auto che si guida da sola. Nasceranno Ztl dedicate e si realizzeranno i primi semafori intelligenti». Un campo questo dove la ricerca dell’Mit è particolarmente avanti. 

ADDIO A SEMAFORI E CODE  
Il progetto si chiama «Wave» (il demo video su senseable.mit.edu/wave) e facendo leva sulle auto senza conducente punta a sviluppare di qui a pochi mesi i primi prodotti commerciali in grado di assegnare di fatto una sorta di «slot» ad ogni vettura, abolire così i semafori, causa spesso di lunghe code e forte inquinamento, e consentire il raddoppio dei flussi di traffico rispetto al vecchio sistema riducendo del 30% le emissioni inquinanti. L’altra chiave di volta della mobilità futura passa attraverso la sharing mobility che porta sempre più persone nel mondo, Italia compresa, a condividere auto, autobus e pullman. Nelle grandi metropoli, ma non solo, la «nuova frontiera» ora è però rappresentata dalla possibilità di condividere fra più utenti lo stesso viaggio in taxi. A New York, dove il 40% del traffico è prodotto dagli spostamenti dei famosi yellow cab, si contano in media 500 mila corse al giorno.  

Al Mit hanno analizzato ben 110 milioni di queste corse arrivando alla conclusione che quasi tutti questi spostamenti può essere condiviso, con un taglio dei viaggi in taxi dell 40% servendo le stesse persone e soprattutto con una riduzione del traffico che oscilla tra il 16 ed il 20%. Un risultato davvero notevole che, secondo gli studi del Mit, può non vale solo per l’area superintasata di New York ma può essere replicato anche in città come San Francisco, Singapore o Vienna. «L’unico problema semmai – aggiunge Santi – è l’effettiva volontà di condividere con uno sconosciuto il sedile posteriore della vettura. Abbiamo tanti dati a disposizione ma non sappiano quale possa essere la reazione sociologica e psicologica dell’utente. E questo per noi rappresenta un campo ancora tutto da investigare». 

NEGLI USA UBER FA «POOL»  
Anche in questo però non parliamo del futuro. Uber, il servizio alternativo ai taxi nato nel 2009 negli Usa e che in Italia dopo il debutto è stato subito vietato, ha infatti lanciato in tre città (New York, Boston e di recente anche a San Francisco) Uberpool, che consente agli utenti di condividere la stessa corsa e quindi di risparmiare. E la «sindrome» del compagno di viaggio come si risolve? «ll trust, la fiducia, è la più grande sfida che si trova ad affrontare chi fa car-pooling», spiega Gianluca Cecchetti di BlablaCar Italia. «Noi l’abbiamo risolto introducendo un sistema di feedback». Negli Usa invece c’è una start-up che sta studiando il modo di incrociare i sistemi di prenotazione condivisa coi profili social dei possibili compagni di viaggio. Un po’ come farà a breve, in Italia, Gogobus col suo «social bus sharing». «L’amplificazione delle dinamiche di condivisione, la “sharing economy”, è certo uno degli aspetti più promettenti tra quelli destinati a cambiare nei prossimi anni dinamiche urbane e sistema dei trasporti pubblici», spiega Carlo Ratti, architetto/ingegnere, fondatore del Senseable City Lab del Mit. 

DAL POSSESSO ALL’ACCESSO  
«Stiamo passando dal possesso all’accesso, in molti ambiti. E le dinamiche di sharing economy applicate ai trasporti, quello che accade con BlablaCar e Uber, stanno già cambiando le carte in tavola. Questo perché le auto non sono un oggetto perfetto, in quanto sottoutilizzate. L’impatto e la possibilità di questo processo saranno evidenti con l’avvento delle «driverless car», le auto autonome. I principali istituti di ricerca – Google e Mit – hanno già lavorato ai primi prototipi, non si tratta dunque di una profezia». «Il futuro prossimo? Potrebbe accadere che la «mia» auto possa darmi un passaggio al lavoro e poi, invece di restare ferma in un parcheggio, portare a scuola i miei figli o quelli del vicino o chiunque altro presente nella mia rete sociale - conclude Ratti -. Il risultato sarà una città in cui tutti possono viaggiare on demand con un quinto delle auto in meno rispetto a oggi, minore impatto ambientale e gran risparmio di denaro, tempo ed energie. E pure la possibilità di liberare lo spazio della rete stradale che potrebbe essere riconvertito in aree verdi».